Ti racconto di come tu sia nata due volte.

Ti spiego perché sei nata due volte.

Una è quando in quel pomeriggio gelido del 3 Marzo ho visto i tuoi occhi per la prima volta, penetranti, dolci e a mandorla. Dopo un lungo travaglio, troppo lungo per essere il numero tre. Erano le 17.30 quando il tuo corpicino morbido, caldo e nuovo si è appoggiato sul mio petto. Da lì ho iniziato ad amarti visceralmente. Con la consapevolezza che avrei dovuto proteggerti da tutto.

Sei nata due volte, amore mio, perché a neanche un mese dalla tua nascita, ti ho vista scivolare via.

Troppo piccola per staccarti da me. Troppo brutto per essere vero. Quel senso di impotenza che ha pervaso me e il tuo papà, lo ricordo ancora adesso. Ci sentivamo piccoli. Due bambini. Avevamo paura, una paura tremenda.

È così che in un secondo abbiamo perso tutti gli anni della nostra vita, e in quello stesso istante, siamo morti. Lì, dove ogni certezza ci è scivolata dalle mani. In quella stanza fredda ti abbiamo vista andar via.

Io e il tuo papà ci siamo guardati, ci siamo abbracciati nel modo più forte che conoscessimo. Siamo scoppiati a piangere senza far uscire neanche una lacrima. Avevamo freddo, ci tremavano le gambe e non sapevamo dove fossimo. Cosa stesse succedendo. Cosa ti avrebbero fatto, se ti avessimo (ri)vista bella come ti avevamo lasciata.

Sentivamo soltanto i tuoi pianti. Piangevi fortissimo, nonostante non riuscissi quasi a respirare. Da dietro quella porta chiusa, così pesante, ma che avrei potuto buttar giù con un soffio, si è chiuso anche il mio cuore. E ci avrebbe messo un pò per riprendere a battere.

Sono state le 48 ore più lunghe della mia vita, senza poterti stare accanto, senza allattarti, senza tenerti al sicuro tra le mie braccia.

Sapevo che eri in ottime mani, che ti avrebbero fatta uscire di lì più forte di prima. Ma tu mancavi a me, forse più di quanto io non mancassi a te. Mi sono messa addosso tutta la forza che potevo. Stringevo al petto la tua tutina, vuota, ma piena del tuo odore. La portavo ovunque, me la tenevo stretta quando alle 5 del mattino salivo in reparto per tirarmi il latte. Per non perderne nemmeno una goccia, per tenertelo pronto non appena ti avrei riattaccata al seno.

Vagavo.

Avevo la testa che rotolava in una burrasca, in mezzo all’oceano.

Il cuore che batteva insieme al tuo, allo stesso ritmo, mentre tu eri li attaccata a quei tubi.

Vederti dal vetro di quel BOX è stato come vederti per la prima volta. Come se fossi nata di nuovo.

Nata due volte.

Contavo minuti interminabili prima di poter entrare da te e farti respirare tutto il mio odore, parlarti all’orecchio, toccarti le ditina dei piedi e aspettare che i tuoi occhi si aprissero per vedere il cielo. Eri così indifesa, sdraiata su quel letto troppo grande per te.

nata due volte

Eppure restavi immobile. E io ti guardavo e vedevo i tuoi pugnetti appoggiati al tuo viso e le tue mani che cercavano i tuoi capelli, come un appiglio. Per sentirti sicura. E le lacrime mi rigavano piano le guance e davvero proprio non riuscivo a farle tornare indietro.

Avevo l’adrenalina che scorreva a mille nelle mie vene. Non avevo più sangue. Sapevo che non potevo stare ferma. Così ho raccolto tutte le energie positive che ci mandavano i nostri amici, se pur lontani, ma mai tanto vicini.

Sono stati giorni che han lasciato il segno.

Non ho dormito per tre giorni di fila e se mi avessero detto di scalare una montagna a piedi nudi lo avrei fatto. Avrei fatto qualunque cosa. TUTTO pur di riaverti accanto a me. Ho scoperto una forza che non pensavo di avere. Quella potenza che si chiama amore, quell’amore così forte che solo una mamma riesce a sprigionare.

Ho visto il buio tutto intorno a me. Uno spazio di tempo che non so quantificare, non so collocare e non so ricordare. A volte ho come la sensazione che tutto questo non sia mai successo. Altre mi sembra ancora di vivere quei giorni infiniti.

Sono rinata insieme a te, solo quando ci hanno detto che saresti uscita dalla rianimazione. Quando ti avrei potuta riabbracciare, allattare, tenerti stretta e stringerti la mano. Guardarti mentre dormi e controllare il tuo respiro.

Ho trattenuto il fiato a lungo. E quando ho ricominciato a respirare c’era il sole. Un sole meraviglioso che splendeva sul mare. In una Genova superba, bella, colorata. Genova che da sempre è casa.

Genova che mi ha ridato te, per la seconda volta.

Da adesso in poi voglio vedere solo il sole, anche quando piove.

MAMMA.