Un anno dopo: vi racconto cosa è davvero successo alla nostra bambina.

Era il 3 Aprile 2018 e noi “festeggiavamo” il tuo primo mese di vita in rianimazione. Tu attaccata a tutti quei tubicini in quel letto troppo grande per te che eri così piccola. Non dormivo da giorni eppure avevo una forza sovrumana e cercavo di trasmettertela tutta. Ma quando ti vedevo attraverso quella vetrata, il mio cuore non resisteva e le lacrime mi uscivano senza che io me ne rendessi conto.

Il Gaslini ti ha salvato la vita amore mio piccolo, perché se fossimo rimasti li dove eravamo, a quest’ora tu non saresti qui. Non avresti compiuto 1 anno, ma che dico, non avresti compiuto nemmeno 2 mesi. Non avresti portato il sole in quel giorno di primavera, dove Genova mi sembrava più bella che mai.

Ma tu sei stata una guerriera e grazie a tutto lo staff del reparto di rianimazione e di osservazione intensiva poi, siamo tornati a casa. Impauriti si, ma è stato come se tu fossi nata due volte, ed io insieme a te, perché il mio cuore ha saltato parecchi battiti prima che tornasse ad un ritmo regolare…Di notte mentre tu dormivi beata io mi alzavo di soprassalto e iniziavo a scrollarti perché avevo paura non respirassi.

Avevo una paura tremenda a dire il vero. Per molti mesi ho sofferto di esaurimento emotivo, quella brutta sensazione di non provare più nulla. I sentimenti mi scivolavano addosso come acqua in un giorno di temporale. Mi ero fatta forza per tutto quel tempo in cui siamo state in ospedale, che ad un certo punto non ho più retto.

Allora ho incominciato a ripensare a tutto quello che era successo, a tutto quello che ti hanno fatto, alle cure mai ricevute all’ospedale S. Paolo di Savona, dove tutti i dottori e sottoscrivo TUTTI continuavano a dirci che tu eri in miglioramento e che io dovevo smetterla di fare la mamma apprensiva. Così ho iniziato ad arrabbiarmi, mentre prima non volevo nemmeno se ne parlasse.

Un anno dopo vi racconto esattamente come sono andate le cose.

Arriviamo al S. Paolo il giorno 1 Aprile 2018. Agata saturava al 90% (un neonato sano dovrebbe saturare al 100%) al di sotto del 95% scatta l’allarme. Così decidono di ricoverarla e le somministrano ossigeno per vie aeree.

Dopo qualche ora capiamo che non migliora, allora verso sera la “attaccano” alla macchina che deumidifica l’ossigeno, in modo che l’aria raggiunga meglio i bronchioli. Perché la sua era una semplice bronchiolite, che se curata con le giuste terapie, guarisce nel giro di 4/5 giorni.

Agata continuava ad avere crisi. I battiti le scendevano fino a 40 e la saturazione era al 60%. Diventava grigia e gli occhi bordeaux. Non rispondeva agli stimoli. E io la dovevo scuotere, la scuotevo talmente tanto che avevo paura di farle male. Quando lei si riprendeva, io iniziavo a stare male.

Intanto i dottori, TUTTI I DOTTORI, continuavano a sostenere che andava tutto bene, tutto secondo manuale, che questo era il decorso della malattia, che la bronchiolite ha queste fasi di peggioramento acuto che poi migliora subito. Continuavano a dirmi di attaccarla al seno che finché ciuccia allora è un buon segno.

Le hanno fatto esami su esami. Le hanno bucato i talloni innumerevoli volte per cercare di avere qualche goccia di sangue. Le sue braccina erano bucate anche loro, per far spazio ad aghi cannula che nemmeno funzionavano. Noi che continuavamo a chiedere di essere trasferiti al Gaslini, che ci saremmo andati anche per conto nostro, ma che secondo noi nostra figlia non stava affatto bene.

Di come respirava ce l’ho ancora impresso, la vedo li: con il torace che segna le costole sotto lo stomaco, il suo piccolo petto che fa su e giù ad un ritmo troppo frequente. La vedo che ce la mette tutta per cercare l’aria, con la testa rivolta all’insù, come se l’ossigeno in questo modo arrivasse meglio…

Agata non è mai migliorata nelle oltre 24h di ricovero in quel reparto. Erano le 22.30 quando un’infermiera viene per “controllare” e fa una faccia strana mentre guarda il display delle macchina cui è “attaccata” Agata. Scappa via prima che noi potessimo chiederle qualcosa.

Martino la rincorre per il corridoio chiedendo spiegazioni alla sua reazione. Lei è costretta ad ammettere: la macchina non è mai stata in funzione per le 18 ore in cui Agata vi era “attaccata”. E pensare che io mi sono sentita dire più volte dalla pediatra “Vogliamo vedere cosa succede se stacco sua figlia dalla macchina?” ogni volta che chiedevo se la macchina funzionasse.

Martino impiegherà soltanto 5 secondi per accendere la macchina. E non è un dottore o un infermiere o un osso, no lui se ne capisce di barche, di vento e di mare. Ma se si tratta dei suoi figli penso che si improvvisi anche astronauta. Bastava tenere premuto un pulsante, e in quel momento abbiamo sentito l’aria uscire dai nasini e Agata che sussultava.

Immediato il nostro stupore e sdegno e incazzatura. Ci prudevano le mani che avremmo preso a pugni tutti quanti, TUTTI, tutti quelli che per più di un giorno hanno continuato a dirci che nostra figlia stava migliorando e che non c’era bisogno di fare tutte queste scene.

Chiediamo un’ambulanza che ci porti immediatamente al Gaslini e sapete quello che ci sentiamo rispondere alle 23.15 dal dottorino della notte? Se potevamo aspettare l’indomani mattina perché così ci sarebbe stato il cambio turno, altrimenti lui doveva chiamare quello reperibile.

Ma se noi avessimo aspettato la mattina seguente..non ci voglio nemmeno pensare.

Preparano Agata per il trasferimento: io mi siedo sul lettino dell’ambulanza con lei in braccio e ad un certo punto vedo che le esce acqua dal naso e dalla bocca. Non capisco. Solo quando vedo il dottorino della notte con la bombola dell’acqua in obliquo invece che tenerla in verticale, capisco.

Capisco e allora mi metto a gridare come una matta che cazzo stesse succedendo, mi portano via la bambina e cercano di aspirarla. Io sono ormai incredula e mi sembra tutto un brutto sogno, dove però non mi sono mai addormentata.

Durante il tragitto per arrivare al Gaslini, il dottorino non mi guarda MAI negli occhi, si limita a chiedere ogni tanto se la bambina ciucciasse il seno, perché quello era un buon segno. Smentito immediatamente appena approdiamo in acque sicure: basta tetta. La bambina era in codice giallo, la saturazione a 85 e un affaticamento importante con insufficienza respiratoria.

Io non sapevo più come mi chiamavo, che giorno era, che ore erano, chi c’era con me e se prima o poi fosse arrivato qualcuno a dirmi che era tutto uno scherzo! Sapevo solo di essere nel posto giusto, che l’avrebbero guarita, ma allo stesso tempo ero terrorizzata.

Sentivo parlare di intubazione, di rianimazione, di azoto e di mascherine. Parole che rimbombavano dentro di me, senza alcun senso logico. Mi chiedevano cose a cui io non sapevo rispondere, non sapevo rispondere più.

Erano le 4 di mattina del 3 Aprile quando ci portano in camera, nel reparto di osservazione dell’Istituto G. Gaslini di Genova. Avevo caldo e freddo insieme. Hanno sistemato Agata sul letto, “nel nido”, in modo che non si muovesse mentre era attaccata all’ossigeno e all’elio insieme. Era ormai senza forze.

Passiamo una notte delirante. In cui ho pigiato il pulsante del soccorso almeno 10 volte, finché alle 8.30 non le viene la crisi respiratoria che la porterà diretta in rianimazione. Io ero in preda al panico e in meno di 30 secondi vedo arrivare il primario, il Dottor S. Renna, insieme ad altri 4 medici, tutti intorno a lei per rianimarla.

Chiamo Martino farfugliando parole insensate e confuse. Riesco solo a dire: “La portano via, me la stanno portando via, ti prego vieni.”

un anno dopo

Ci mette 20 minuti ad arrivare da Celle (48km), pochissimo. Io sono stata spedita a prendere un caffè che nemmeno ho bevuto. Lo vedo arrivare, in lacrime, non riusciva a parlare. Ci siamo abbracciati nel modo più stretto che conoscevamo, abbiamo unito ancora una volta le speranze fino a quando non l’abbiamo vista andare via, dietro quella porta verde pesante come il macigno che avevano appoggiato sui nostri cuori.

Da qui, il resto della storia ormai la conoscete. Il lieto fine c’è stato, ma solo dopo lunghi giorni di respiri sospesi, di lacrime salate, di notti insonni senza la mia bambina accanto, di sveglie puntate alle 3 di notte per tirarmi il latte. Di lontananza dai miei “bambini grandi” che mi logorava durante le lunghe giornate a fissare il soffitto della stanza. E la grande vicinanza dei nostri amici più cari, delle nostre famiglie, che ancora una volta hanno dimostrano che l’amore esiste, basta solo accorgersene.

GRAZIE a tutti, ma soprattutto a te Martino, come sempre.

MAMMA GLAMOUR